lunedì 29 settembre 2014

La Miseria

E' tutto uno scherzo, no?
Il cielo, l'acqua, la merda, per limitarsi alle cose, ai prototipi delle cose. Oppure persino le azioni. O meglio: le operazioni. Quelle cose che procedono dalla coscienza alla coscienza attraversando il cielo, l'acqua, la merda.

Una delle cose che ho imparato è lo spazio. Puoi impararlo anche tu se ti concentri, ma anche se ti dissolvi: quello che conta alla fine è un deciso scarto di densità.
Lo spazio è quella cosa che va dopo la particella: "in" oppure "attraverso".
Se inventassimo nuovi linguaggio, inventeremmo probabilmente nuovi tipi di spazio. (Non devi avere paura della logica. Devi avere paura di quello che resta quando la logica si rompe.)



La logica è diversa dal teatro. Nel teatro lo spazio non va dopo una particella. Va direttamente intorno al gesto. Se lo spazio fosse diverso, il gesto sarebbe diverso. Nel teatro, lo spazio è indistinguibile dal suono e dalla luce.



Al momento, si sta al mondo come sott'acqua. Il mio spazio è la miseria, l'avvicinarsi tendenziale al limite della non-esistenza. L'overdose emotiva: quello che resta quando si attraversa un violentissimo sbalzo senza un pensiero-delle relazioni, senza orientamento né oriente. Come nel mezzo di un orribile scherzo.
Forse dovrei solo accartocciarmi e bruciare: un esempio della meravigliosa azione a distanza.


martedì 17 giugno 2014

Mainstream

L'altro giorno ho cominciato a scrivere.
Non sapevo dove sarei finito, e a questo punto sarei parecchio confuso anche se mi chiedessero dove ho iniziato.

Perché scrivi? Mi chiedono. Ti è venuta la faccia appesa, gli occhi cisposi.
Ti alzi alle 8, se non alle 7, e conosci la pace solo quando siedi in buddha.
Hai passato le mattine della tua vita ad imparare trucchi, e le sere con il gomito ridotto a pendolo, come uno di quei giochi con un picchio di legno a molla che becca e becca: gomito su - alcool dentro, gomito giù - bicchiere vuoto. A furia di versare non so quante volte sono finito riverso.
C'è da pentirsene? Forse. Me ne pentirò? Questo non c'entra assolutamente nulla.

Siccome questa è la seconda Oloboutade, e la prima è finita male per tutti i coinvolti, sarò perlomeno sincero. E lo so che non si usa, su internet. E lo so che quella vecchia cosa dei girovaghi surfisti del net che si imbattono per caso in una frase che gli cambia la vita era solo una fantasia adolescenziale, una proiezione dell'ormone vorticante nello spazio dei segni. Ma tu lo sai?

Alla fine, il piccolo crampo nel mio polso sinistro si sveglia e mi parla, particella ossificata di disagio che torna nei tendini dacché è stata rimossa dalla corteccia.
Vuoi la verità? La brutta banale risibile verità personale di un essere umano che non hai mai visto? Pensi che serva ad imparare qualcosa? Io so che sei un illuso, ma sarò sincero lo stesso, perché la disillusione non esiste, solo la fatica di arrampicarsi finché l'orizzonte diventa tondo, e anche allora dovrai farti venire il torcicollo nel tentativo di fare di due sguardi uno sguardo solo.

E allora la verità: io scrivo per lo spazio che c'è fra l'occhio e la pagina, scrivo per le dita che frugano. Per fare esistere quello iato fra me-e-me, e poter respirare, agire, reagire, senza dover affrontare sempre di nuovo l'acida presenza del resto. Scrivo perché sono implicitamente paranoico, come forma di terapia del pensiero attraverso il linguaggio.

Hai mai letto il Tractatus? Allora sai più o meno come funziona L'Unica Letteratura Possibile: un uomo coraggioso si impegna in un doloroso ed inevitabilmente mortale corpo-a-corpo, e mutilazione dopo mutilazione arriva all'osso. Da queste parti quando vediamo qualcosa del genere ci leviamo il cappello, ma siamo abbastanza codardi da non provare a farlo a casa. All'inverso: doloranti di dolori che non sapremmo descrivere, ossessionati dalla virtualità degli stessi, ci immergiamo nel linguaggio come in una assenza lenitiva. Non aspettiamo rivelazioni, non costruiamo edifici teorici o roba del genere.
L'unica metafora che ci spetta è quella passiva e viscosa dello scivolare (più o meno come Marla in fight club).
Il linguaggio è la realtà. Il corpo è la variabile. Il corpo nel linguaggio, sciaguattando, fa onde. Quelle onde sono enunciazioni e attraverso loro la temporalità del corpo viene al linguaggio. Che non dimeno resta suscettibile alla sollecitazione differita di altri corpi, alla vibrazione trasmessa nel medium.

Una volta ero fissato con l'immagine di un sasso che cade in un lago. Ora so che ogni immagine sparisce dal campo visivo giusto il tempo di tramutare, poi torna. Devi solo aspettare i tuoi mostri dietro l'angolo e stare sereno.
Se nulla cambia, sarà il nulla a cambiarti.

Per questo scrivo: non ci sono che lettere sulla punta delle mie dita. non c'è che carne, sotto.

lunedì 14 aprile 2014

Trip au Tel

"L'alieno biascica e sparge sangue, ma è tanto lontano che a malapena riesco ad immaginarlo, mentre mastica e sputa l'ennesimo organo inutile e riorganizza le vertebre in quella sua strisciante locomozione."

Una delle cose che mi hanno sempre divertito è infilare parole l'una nell'altra, accumularle l'una sull'altra, e poi vederle colare come una massa materica. Mostrare nell'esito melmoso e confuso dell'enunciazione, della voce echeggiante, il limite della referenza.
Non che lo sapessi, all'inizio. Come molti, come quasi tutti, i modi-di-fare ed i riflessi condizionati sono arrivati molto prima di quell'accenno di autocomprensione che l'autodiagnosi ossessiva potesse offrirmi. Ed in effetti me la cavavo meglio, prima di saperlo. (Pensavo di essere, ed ero sul punto.)
Scambiavo il dentro per il fuori, il sopra per l'intorno e pensavo di cercare l'illuminazione mentre dimostravo l'inutilità del pensiero-oltre-il-pensiero.
Nel farlo, mi è capitato di spargere una serie di tracce. Pezzi e Brandelli.
Ora, tuttavia, con la solidità semiraggiunta e la plasticità cerebrale ai minimi storici, mi sembra finalmente venuto il momento di dire a qualcuno che non conoscerò mai:
Buongiorno fratellino. Come ti senti oggi? Il mondo lacerato e confuso, pieno di piani e contropiani, sopravvivenze conflittuali ed obsolescenze putride ti manda a male? Oppure è il Vuoto quello che vedo dietro i tuoi occhi limpidi?
Quello che sto cercando di dire, è che tutta la questione dello sperimentare la gran parte delle volte consiste nello strapparsi carne e sangue al confronto, evitare l'evitabile. Costruire ad arte, attraverso l'adeguata manipolazione di simboli, una posizione imprendibile, un luogo del non-spirito, una stazione immobile, tale che da fuori si possa solo sbalordire o inoridire, e d'un colpo negare ogni risposta umana (la compassione, la solidarietà, l'indifferenza).
Ciò che ho imparato, è che dovrei disporre di soggetti preventivamente ipnotizzati per poter giocare i giochi che mi interessano. E per avere qualcosa di simile dovrei poter dire ciò che non ho mai detto:

Rilassati, chiudi gli occhi.
E' tutto a posto.


giovedì 6 giugno 2013

Olo! Olo! Olo!

La Boutade supporta la prostituzione sacra, l'occasionale scorribanda, il deperimento e l'assurdità-a-tutto-tondo (con e senza trattini, come titolo di se stessa o di qualcos'altro).
La Boutade, consapevole che le parentesi non si aprono di gusto e si chiudono con violenza, così come le relazioni fra persone, cose, animali e le occasionali fughe d'amore fra animali di specie diverse, tenta invano di impedire che tutto ciò finisca sempre con il branco che prende e sacrifica il qualcosa-qualcuno che sgarra ai presentemente potenti Dèi dello status quo.
La Boutade si destina da sola al più tremendo dei fallimenti.
La Boutade, infatti, non esiste fuori dai confini assai fragili di una virtualità che, con grande disgusto di chi scrive (e che non ha nessun titolo per parlare), si precipita marciando una marcetta verso il tiepidume della realtà. La Boutade ha amici perpetui e nemici provvisori, ed istituisce intersezioni fra i due insiemi. Verso coloro che cadono nel mezzo, si comporta in modo assolutamente scostante, moltiplicando gli sforzi e divaricando i percorsi.
La Boutade esige una assoluta dedizione, nessun senso dell'umorismo, niente lavoro diurno, alcolismo sfrenato e presenza detestabile. "La Boutade" è un uso basculante del linguaggio, ammesso che la metafora linguistica si estenda ovunque. Altrimenti, è solo un'etichetta per fenomeni che si autodistruggono tracciando traiettorie immaginarie verso stati di quiete altrettanto immaginari.

Evviva! A morte!
Olo! Olo! Olo!