Il cielo, l'acqua, la merda, per limitarsi alle cose, ai prototipi delle cose. Oppure persino le azioni. O meglio: le operazioni. Quelle cose che procedono dalla coscienza alla coscienza attraversando il cielo, l'acqua, la merda.
Una delle cose che ho imparato è lo spazio. Puoi impararlo anche tu se ti concentri, ma anche se ti dissolvi: quello che conta alla fine è un deciso scarto di densità.
Lo spazio è quella cosa che va dopo la particella: "in" oppure "attraverso".
Se inventassimo nuovi linguaggio, inventeremmo probabilmente nuovi tipi di spazio. (Non devi avere paura della logica. Devi avere paura di quello che resta quando la logica si rompe.)
La logica è diversa dal teatro. Nel teatro lo spazio non va dopo una particella. Va direttamente intorno al gesto. Se lo spazio fosse diverso, il gesto sarebbe diverso. Nel teatro, lo spazio è indistinguibile dal suono e dalla luce.
Al momento, si sta al mondo come sott'acqua. Il mio spazio è la miseria, l'avvicinarsi tendenziale al limite della non-esistenza. L'overdose emotiva: quello che resta quando si attraversa un violentissimo sbalzo senza un pensiero-delle relazioni, senza orientamento né oriente. Come nel mezzo di un orribile scherzo.
Forse dovrei solo accartocciarmi e bruciare: un esempio della meravigliosa azione a distanza.
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