martedì 17 giugno 2014

Mainstream

L'altro giorno ho cominciato a scrivere.
Non sapevo dove sarei finito, e a questo punto sarei parecchio confuso anche se mi chiedessero dove ho iniziato.

Perché scrivi? Mi chiedono. Ti è venuta la faccia appesa, gli occhi cisposi.
Ti alzi alle 8, se non alle 7, e conosci la pace solo quando siedi in buddha.
Hai passato le mattine della tua vita ad imparare trucchi, e le sere con il gomito ridotto a pendolo, come uno di quei giochi con un picchio di legno a molla che becca e becca: gomito su - alcool dentro, gomito giù - bicchiere vuoto. A furia di versare non so quante volte sono finito riverso.
C'è da pentirsene? Forse. Me ne pentirò? Questo non c'entra assolutamente nulla.

Siccome questa è la seconda Oloboutade, e la prima è finita male per tutti i coinvolti, sarò perlomeno sincero. E lo so che non si usa, su internet. E lo so che quella vecchia cosa dei girovaghi surfisti del net che si imbattono per caso in una frase che gli cambia la vita era solo una fantasia adolescenziale, una proiezione dell'ormone vorticante nello spazio dei segni. Ma tu lo sai?

Alla fine, il piccolo crampo nel mio polso sinistro si sveglia e mi parla, particella ossificata di disagio che torna nei tendini dacché è stata rimossa dalla corteccia.
Vuoi la verità? La brutta banale risibile verità personale di un essere umano che non hai mai visto? Pensi che serva ad imparare qualcosa? Io so che sei un illuso, ma sarò sincero lo stesso, perché la disillusione non esiste, solo la fatica di arrampicarsi finché l'orizzonte diventa tondo, e anche allora dovrai farti venire il torcicollo nel tentativo di fare di due sguardi uno sguardo solo.

E allora la verità: io scrivo per lo spazio che c'è fra l'occhio e la pagina, scrivo per le dita che frugano. Per fare esistere quello iato fra me-e-me, e poter respirare, agire, reagire, senza dover affrontare sempre di nuovo l'acida presenza del resto. Scrivo perché sono implicitamente paranoico, come forma di terapia del pensiero attraverso il linguaggio.

Hai mai letto il Tractatus? Allora sai più o meno come funziona L'Unica Letteratura Possibile: un uomo coraggioso si impegna in un doloroso ed inevitabilmente mortale corpo-a-corpo, e mutilazione dopo mutilazione arriva all'osso. Da queste parti quando vediamo qualcosa del genere ci leviamo il cappello, ma siamo abbastanza codardi da non provare a farlo a casa. All'inverso: doloranti di dolori che non sapremmo descrivere, ossessionati dalla virtualità degli stessi, ci immergiamo nel linguaggio come in una assenza lenitiva. Non aspettiamo rivelazioni, non costruiamo edifici teorici o roba del genere.
L'unica metafora che ci spetta è quella passiva e viscosa dello scivolare (più o meno come Marla in fight club).
Il linguaggio è la realtà. Il corpo è la variabile. Il corpo nel linguaggio, sciaguattando, fa onde. Quelle onde sono enunciazioni e attraverso loro la temporalità del corpo viene al linguaggio. Che non dimeno resta suscettibile alla sollecitazione differita di altri corpi, alla vibrazione trasmessa nel medium.

Una volta ero fissato con l'immagine di un sasso che cade in un lago. Ora so che ogni immagine sparisce dal campo visivo giusto il tempo di tramutare, poi torna. Devi solo aspettare i tuoi mostri dietro l'angolo e stare sereno.
Se nulla cambia, sarà il nulla a cambiarti.

Per questo scrivo: non ci sono che lettere sulla punta delle mie dita. non c'è che carne, sotto.